Olfatto perfetto senza bulbo olfattivo

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 29 febbraio 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

La possibilità straordinaria di avere un olfatto perfetto senza bulbo olfattivo è stata argomento di un approfondimento didattico, sviluppato come un sintetico aggiornamento su un senso la cui complessa struttura ed elevata efficienza si accompagna a non pochi interrogativi neuroscientifici affascinanti e non risolti. Il bulbo olfattivo, struttura pari e simmetrica del rinencefalo, è la prima sede di rappresentazione dell’informazione osmica nel cervello dei mammiferi: i suoi glomeruli costituiscono il sostrato per la codifica spaziotemporale degli odori, sulla base delle informazioni provenienti dai recettori dell’epitelio olfattivo.

Il primo caso, scoperto incidentalmente durante uno studio fMRI sul senso dell’olfatto, ha fatto grande scalpore, come ha riferito a Live Science lo stesso autore Noam Sobel del Weizmann Institute of Science, in Israele, perché i volontari costituenti il campione erano stati reclutati in base al requisito di un buon senso dell’olfatto[1].

Costatando nelle scansioni tomografiche in risonanza magnetica del cervello di una donna di 29 anni priva di patologie la totale agenesia dei bulbi olfattivi, i ricercatori sulle prime hanno pensato a un errore commesso nella preselezione dei partecipanti: la volontaria doveva essere sicuramente anosmica. Oltre mezzo secolo di ricerche, che hanno impegnato anche ricercatori italiani come Eleonora P. Giorgi[2] – tra i primi ad applicare la teoria dell’informazione e i modelli matematici – avevano stabilito l’importanza del bulbo olfattivo nella discriminazione degli odori, ruolo essenziale confermato dai casi di anosmia associati ad agenesia o distruzione bilaterale della formazione rinencefalica. Pertanto, si comprende lo stupore del gruppo di ricerca di Sobel quando ha sottoposto la giovane donna senza bulbi olfattivi, che peraltro affermava di avere un’abilità non comune nel riconoscere profumi e aromi, ai test standardizzati per l’analisi della capacità discriminativa del senso dell’olfatto, rilevando risultati significativamente superiori a quelli della media delle persone normodotate[3]. In particolare, i test hanno rivelato risultati più che positivi in queste aree: consapevolezza degli odori, rilevazione, discriminazione, identificazione e rappresentazione.

Dopo questo caso, la ricerca è proseguita reclutando un gran numero di volontarie in qualità di “controlli”, per confrontare il loro sistema nervoso centrale con quello della ventinovenne priva di bulbi olfattivi. In particolare, i ricercatori hanno soffermato l’attenzione su un aspetto, considerato rilevante in neuropsicologia e scienza cognitiva, ma trascurato spesso negli studi sulle basi di funzioni diverse da quelle legate alla comunicazione verbale: la giovane priva di bulbi dell’olfatto era mancina. Durante le scansioni cerebrali di coetanee mancine, hanno sorprendentemente scoperto un’altra donna con questa rarissima agenesia, un olfatto perfetto e l’uso della mano sinistra per la scrittura. Al secondo caso di una condizione tanto rara da essere considerata impossibile fino a quel momento, Noam Sobel e colleghi hanno escluso che potesse trattarsi di una mera coincidenza.

La risonanza magnetica funzionale del cervello di queste due donne ha rivelato un’attività dipendente dagli odori nella corteccia piriforme, il primo territorio di proiezione del bulbo olfattivo, di intensità simile a quella dei controlli normali, inducendo il sospetto che in un’altra localizzazione topografica vi fosse una formazione telencefalica fisiologicamente vicariante.

A questo punto, i ricercatori hanno consultato la più importante banca-dati di sezioni tomografiche di encefalo umano ottenute mediante la metodica della risonanza magnetica nucleare: lo Human Connectome Project. Questo database presenta 1113 scansioni corredate da precise informazioni sul senso dell’olfatto dei soggetti studiati. Fra le 606 donne esaminate, erano state registrate 3 donne senza bulbi olfattivi con olfatto normale, e una di esse era mancina. In termini percentuali: circa 0.6% delle donne e circa 4.25% delle donne mancine[4].

Ottenuta questa importante informazione, Noam Sobel e colleghi hanno ripreso lo studio morfo-funzionale del cervello delle due giovani donne del loro campione, alle quali hanno aggiunto una terza volontaria, ugualmente priva di bulbo olfattivo ma, come sempre avviene in questi casi, affetta da anosmia congenita.

La comparazione accurata fra immagini e risultati dei test di discriminazione degli odori fra la volontaria anosmica e le due donne mancine ha confermato la straordinarietà di quei due casi: le loro prestazioni continuavano ad essere ottimali, rispetto alla norma, mentre la donna anosmica ha rivelato un marcato quanto prevedibile deficit di identificazione. Lo studio più accurato del cervello delle due donne mancine non ha consentito di rivelare possibili conformazioni anomale, aberranti o ectopiche delle strutture bulbari e, dunque, ha confermato quanto era apparso evidente fin dall’inizio delle osservazioni.

Quale passo conclusivo dello studio, Sobel e colleghi hanno realizzato un “olfactory perceptual fingerprint” delle tre volontarie e di altre 140 donne di età comparabile. Tra le prove necessarie alla definizione di tale specifica caratterizzazione individuale vi era il compito di quantificazione, da parte della volontaria, del grado di somiglianza e differenza fra due odori, prossimi come i profumi di limone e arancia, oppure lontani, come il profumo del limone e il tanfo della puzzola dovuto a molecole di mercaptani. In linea generale, l’impronta digitale dell’olfatto delle due donne senza bulbi olfattivi ma con buona capacità percettiva era simile a quella delle altre donne; ma il dato più interessante è che i loro due fingerprint erano fra loro più simili di quanto lo fossero quelli di qualsiasi altra coppia di volontarie[5].

Per un migliore apprezzamento del significato di questa agenesia senza perdita funzionale, si propone, qui di seguito, una sintesi di nozioni introduttive sulle basi neurobiologiche dell’olfatto.

Il sistema olfattivo dei mammiferi ha un enorme potere di discriminazione, che raggiunge nell’uomo livelli di prestazione impressionanti, se sottoposto a uno specifico training. Si pensi a quei virtuosi, in Francia chiamati “nasi”, che possono distinguere da centinaia a migliaia di molecole odorose in quantità infinitesimali. È interessante precisare subito che lo sviluppo, nel corso dell’evoluzione, di un sistema fisiologico così efficiente non ha seguito un unico criterio per il meccanismo di percezione discriminata degli odori, e tale complessità ha tenuto per decenni sotto scacco i ricercatori. È stata necessaria l’identificazione e la clonazione di oltre 500 geni codificanti recettori dell’olfatto per completare il puzzle di informazioni che ha rivelato i principi organizzativi della codifica degli odori. La massima parte del lavoro finalizzato ad ottenere questo risultato fu condotta da Richard Axel, in precedenza collega di Eric Kandel, e indipendentemente da Linda B. Buck: i due ricercatori furono entrambi insigniti del Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina nel 2004[6].

La specificità recettoriale è una delle ragioni della fine capacità di discriminazione, ma non l’unica, come si era ritenuto e sperato in passato. È noto che piccole differenze strutturali, come quelle esistenti tra due enantiomeri, possono essere percepite come due odori diversi: lo stereoisomero L del carvone profuma di menta, lo stereoisomero D è responsabile dell’aroma del cumino, che è simile all’anice e contraddistingue il liquore detto Kümmel[7]. In varie condizioni sperimentali è stato dimostrato che cambiamenti molecolari ancora minori possono generare sorprendenti effetti percettivi.

Il riconoscimento degli odori si ritiene derivi da eventi di elaborazione del segnale che si verificano in distinti siti anatomici: l’epitelio olfattivo della cavità nasali dove le molecole odorose interagiscono con i recettori dei neuroni sensoriali olfattori (OSN); il bulbo olfattivo dove l’informazione ricevuta delle cellule OSN va incontro ad una prima elaborazione; la corteccia cerebrale, dove si ritiene avvenga l’integrazione informativa che consente la distinzione fra migliaia di sensazioni osmiche e la definizione dell’identità del percetto. In particolare, il bulbo dell’olfatto, una delle tre sedi di neurogenesi adulta con il giro dentato e la parete ventricolare, ha attratto l’attenzione quale sede degli eventi chiave per la comprensione dei criteri di organizzazione morfo-funzionale che consentono la codifica dell’odore, per la quale non sono sufficienti le semplici informazioni delle cellule bipolari OSN dell’epitelio olfattivo.

Si ricorda che questi neuroni bipolari estendono il loro singolo dendrite verso la superficie dell’epitelio della cavità nasale, dove numerosi e sottili processi ciliari immobili, che si dipartono dalla sommità del dendrite, penetrano nello strato di muco con il loro apparato di trasduzione olfattiva, che include recettori, enzimi effettori e canali ionici.

Ciascuna cellula OSN proietta un assone al bulbo olfattivo, dove forma sinapsi all’interno di regioni specializzate del neuropilo chiamate glomeruli: le giunzioni per la trasmissione dell’informazione originata dall’interazione delle molecole odorose con i recettori sono formate sia con neuroni di proiezione del bulbo olfattivo, sia con gli interneuroni inibitori. Il principale output dal bulbo, costituito dagli assoni delle cellule mitrali e delle cellule a pennacchio, proietta alle strutture sensoriali superiori, e in particolare alla corteccia olfattoria. Gli interneuroni del bulbo, ossia le cellule periglomerulari e granulari, contribuiscono a modellare l’informazione sensoriale e l’uscita dal bulbo olfattivo in vario modo, prima che l’informazione raggiunga i neuroni del nucleo olfattorio anteriore e della corteccia piriforme.

Come si è detto, l’identificazione e la clonazione dei geni codificanti i recettori delle molecole odorose ha contribuito a rivelare i principi organizzativi dell’articolato processo di codifica degli odori, ma per un’esposizione dettagliata di questo argomento si rinvia alle trattazioni specialistiche, agli articoli da noi pubblicati al riguardo nella sezione “Note e Notizie” a partire dal 2004 e al nostro Aggiornamento su olfatto e chemorecezione accessoria nella sezione “Aggiornamenti” del sito[8]. La percezione distinta di ciascun tipo di aroma o profumo richiede un grandissimo numero di recettori diversi, ciascuno dei quali risponde solo a un piccolo insieme di odoranti.

La fenomenica reattiva è complessa, ma si può schematizzare in tre proprietà: 1) un recettore può rispondere a più di un odore e, spesso, a composti di più di una classe chimica (ad esempio: aldeidi e alcoli); 2) un singolo composto odoroso può attivare più di un tipo di recettore; 3) non tutti i recettori attivati da un odorante reagiscono con la stessa intensità. Queste proprietà, prese insieme, indicano un repertorio di recettori con profili di caratterizzazione degli odori in parte sovrapposti.

Negli ultimi vent’anni si è andata affermando l’idea che il profilo identitario di un odore è ottenuto mediante un codice combinatorio delle informazioni originate da recettori con differenti “sintonie” per le molecole odorose (combinatorial odor code)[9]. Gli studi degli anni recenti hanno confermato questa teoria.

Numerosi esperimenti hanno dimostrato che l’informazione generata da centinaia di differenti tipi di recettori deve essere organizzata per raggiungere un alto livello di discriminazione olfattiva. La sensibilità del sistema sembra derivare dalla capacità dell’apparato di trasduzione olfattiva di attuare un’efficace amplificazione e una rapida interruzione terminale del segnale. Sappiamo che il riconoscimento del composto odoroso avvia la cascata del secondo messaggero che porta alla depolarizzazione del neurone e alla genesi dei potenziali d’azione. È anche noto che la stimolazione prolungata o ripetitiva innesca processi di feedback negativo che danno luogo al fenomeno dell’adattamento, che permette di non essere più disturbati dal lezzo, se si è costretti a permanere in un luogo maleodorante, e a ridurre la capacità di percepire il profumo dei fiori se si sosta in una serra o in un prato fiorito, fino allo stimolo dato dal cambiamento d’aria.

L’interesse specifico di questo aggiornamento ci porta a considerare in particolare il fenomeno della convergenza degli elementi sensoriali primari dell’epitelio olfattivo, ossia le cellule OSN, su pochi glomeruli all’interno del bulbo olfattivo. Nell’epitelio olfattivo, geni differenti dei recettori dell’olfatto sono espressi all’interno di zone anatomiche ristrette che presentano simmetria bilaterale nelle due cavità nasali e sembrano essere identiche o quasi in tutti gli individui. La comparazione fra la localizzazione di zone di espressione e la topografia delle proiezioni tra epitelio nasale e bulbo olfattivo indica che l’organizzazione dell’espressione epiteliale dei geni recettoriali è preservata nelle proiezioni assoniche al bulbo. Gli assoni provenienti da neuroni esprimenti lo stesso gene recettoriale convergono generalmente su due glomeruli, e raramente su poco più di due.

È stato calcolato, nel topo, che tutte le cellule esprimenti un tipo di recettore convergono su solo 1.900 glomeruli del bulbo olfattivo. Questo dato suggerisce che esiste già una specifica, anche se elementare, organizzazione dell’informazione nell’epitelio sensoriale, e che tale organizzazione è conservata nei pattern di segnali trasmessi al bulbo olfattivo.

Su questa base, attualmente si ritiene che l’unità fondamentale per la codifica olfattiva sia il glomerulo del bulbo olfattivo e non il recettore, per quanto specifico, come abbiamo visto nel caso degli enantiomeri del carvone.

Ritornando al caso delle donne prive di bulbo olfattivo ma con percezione osmica integra, studiate da Noam Sobel e colleghi, si possono fare alcune considerazioni.

La prima riguarda un particolare, ritenuto trascurabile dagli autori dello studio e da vari altri ricercatori che hanno commentato gli esiti dell’osservazione e studiano a loro volta questo problema, ma che ha colpito chi scrive: le donne mancine senza bulbi, pur facendo registrare allo spettro complessivo degli odori testati prestazioni superiori alla norma, sono accomunate dal non riconoscere il profumo delle rose[10].

Probabilmente ha ragione la maggioranza nel ritenere irrilevante questo aspetto, ma ho ritenuto opportuno riportarlo, sia perché si tratta di un profumo fortemente caratterizzato sia perché il difetto le accomuna e potrebbe, in qualche modo, essere in rapporto con la loro particolare neuroanatomia funzionale, come suggerisce il fingerprint fra loro simile.

La seconda osservazione riguarda le ipotesi in campo per spiegare il fenomeno. Dopo l’ipotesi dell’esistenza di un “bulbo nascosto” nell’anatomia regionale, quella più seguita propone che parti di sottosistemi neuronici in stretto rapporto col sistema olfattivo, sotto la pressione della mancanza delle strutture bulbari, abbiano stabilito fra loro connessioni in grado di compensare il difetto. Altri ricercatori hanno suggerito invece l’esistenza di diverse forme di plasticità vicariante da scoprire.

Non manca, come spesso accade in questi casi, qualcuno che avanzi un’ipotesi estrema: il bulbo olfattivo non serve per la discriminazione degli odori ma solo per organizzare l’informazione osmica per una valenza collaterale sviluppata dall’elaborazione corticale[11]. Questa idea è qui riportata per completezza di esposizione, ma è da escludere per le ragioni che portano la ricerca recente a considerare il glomerulo del bulbo olfattivo come la vera unità fondamentale per la codifica degli odori[12].

Infine, può essere interessante considerare l’agenesia dei bulbi olfattivi in chiave biologica evoluzionistica: Già la semplice comparazione fra il cervello degli animali macrosmatici e quello dei microsmatici fornisce una traccia della tendenza evolutiva; poi, se si confronta in particolare l’organizzazione funzionale encefalica dei roditori con quella dei primati, si nota che, oltre ad una riduzione proporzionale del rinencefalo rispetto alle strutture connesse con vista e udito, le formazioni archiencefaliche associate all’olfatto assumono prevalentemente un ruolo nella mediazione emotiva delle componenti affettive dell’esperienza. Ma la traccia più importante che porta a ritenere l’olfatto un senso in involuzione nella filogenesi recente viene dalla genetica: molti geni olfattori dei roditori diventano pseudogeni nei primati, ossia sequenze nucleotidiche che hanno perso la capacità di essere espresse nella cellula, soprattutto per mutazioni che danno luogo a trascritti nonsenso. Questo fenomeno sta ad indicare una progressiva riduzione dei vantaggi selettivi legati alla funzione olfattiva e, in questo quadro evoluzionistico, le mutazioni che causano sporadica agenesia di una parte dell’apparato di chemorecezione di molecole volatili dovrebbero diventare sempre più frequenti.

La ricerca in questo campo, scarsamente finanziata nel nostro paese e più in generale in Europa, dovrebbe avere un nuovo impulso, perché rispondere agli interrogativi che ci pone la percezione osmica senza bulbo olfattivo potrebbe contribuire alla conoscenza delle basi patologiche di tutte quelle condizioni cliniche, fra cui gravi malattie neurodegenerative, che si annunciano con la perdita o l’alterazione dell’olfatto.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-29 febbraio 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Cfr. Yasemin Saplakoglu, Live Science, Nov. 06, 2019.

[2] Eleonora P. Giorgi, Il senso dell’olfatto, in Il Cervello - organizzazione e funzioni, pp. 102-109, Le Scienze, Milano 1978. La Giorgi contribuì a scoprire che l’olfatto può rilevare milionesimi di milligrammo di sostanze odorose.

[3] In effetti nel 2009 era stato pubblicato nell’American Journal of Rhinology un caso di percezione olfattiva senza bulbo olfattivo, ma in quel caso le capacità di discriminazione percettiva erano decisamente deficitarie.

[4] Weiss T., et al. Human Olfaction without Apparent Olfactory Bulbs. Neuron 105 (1), P35-35. E5, J8, 2020.

[5] Weiss T., et al., art cit., 2020.

[6] Note e Notizie 06-10-04 Premio Nobel a Richard Axel e Linda B. Buck per la genetica e la fisiologia dell’olfatto.

Dalla motivazione del premio: “Il senso dell’odorato è rimasto a lungo il più enigmatico dei nostri sensi. I principi di base per il riconoscimento e il ricordo di circa 10.000 odori diversi non erano compresi […] Fino agli studi di Axel e Buck il senso dell’odorato era un mistero”.

[7] Il cumino dei prati o carvi o anice dei Vosgi (Carum carvi L., 1753) è una pianta delle Ombrellifere con fiori di colore bianco o rosa e frutti, erroneamente detti semi, secchi di forma ricurva, lunghi solo qualche millimetro e usati per il caratteristico sapore d’anice.

[8] Nella sezione “Aggiornamenti” si può leggere, oltre al saggio introduttivo dal titolo “Olfatto e oltre”, una raccolta di 16 articoli che contengono nozioni spesso inedite al momento della pubblicazione e, in molti casi, ancora non incluse nei manuali didattici. La relazione dell’olfatto con la schizofrenia, uomini col fiuto migliore dei cani, la scoperta di nuove classi di chemosensori, il rapporto con i prioni, i ferormoni che inducono neurogenesi, quelli che scoraggiano i rivali, il nuovo nervo cranico associato alla percezione ferormonica, eccetera, costituiscono argomenti di grande attualità neuroscientifica.

[9] Malnic B., et al. Combinatorial receptor codes for odors. Cell 96 (5): 713-723, 1999. L’articolo, che ha come senior author Linda B. Buck, espone l’interpretazione sviluppata anche grazie al lavoro di Richard Axel, che porterà entrambi al Nobel cinque anni dopo.

[10] Non si deve trascurare il ruolo dell’apprendimento nel riconoscimento specifico e discriminato dei profumi, come si legge in Note e Notizie 03-03-07 Imparare a sentire il profumo delle rose.

[11] Rimane molto limitato il ruolo del bulbo nella funzione sociale dell’olfatto, in quanto anche nell’uomo esiste una via specifica a questo fine per l’elaborazione del segnale dei ferormoni, che fa capo all’organo vomeronasale ed è veicolata dal nervo zero o nervo terminale (Cfr. Note e Notizie 31-03-07 Il sesso e il nervo sconosciuto).

[12] Naturalmente questo non esclude – se si segue l’ipotesi del nostro presidente della molteplicità funzionale delle principali strutture e popolazioni neuroniche del nostro encefalo – che una pressione selettiva su una valenza funzionale accessoria alla percezione degli odori possa avere qualche influenza sull’ontogenesi.